Oggi, per la prima volta da quando ho iniziato questa mailing list nel lontano febbraio 2009, lascierò spazio a due ospiti: Alberto e Stefano, due compaesani che mantenendo le loro promesse fatte mesi fa sono venuti a trovarmi in Cina, e di cui vi ho già raccontanto le avventure Pechinesi nella scorsa mail.
Qui di seguito i punti salienti del loro viaggio che si è composto di:
- aereo da Pechino a Guilin
- bus fino a Yangshuo
- treno fino a Shanghai
- treno per Suzhou
- treno per Nanchino
- treno per Pechino
- aereo per casa.
Lascio a loro la parola:
”
Ecco qualche highlight dello scontro culturale tra due giovani viaggiatori di belle speranze e una nazione calorosa ma talmente a digiuno di inglese che la frase “the pen is on the table” appartiene al corso iper avanzato.
TIC
Appena arrivati in Cina, no problem: tu e Huanzi ci avete fatto da guida in modo talmente convincente che ci siamo illusi che non sia poi così complicato comunicare. Va be, dai…ce la caveremo.
Ecco la prima esperienza “autonoma” del confronto con la Cina, a circa 30 secondi dall’essere arrivati all’areoporto di Guilin [Jappo: che io ho visitato con i miei genitori qualche mese prima].
Ritiriamo gli zaini e ci dirigiamo verso l’uscita, in cerca di un autobus che ci porti in città. Individuiamo un banco su cui troneggia la scritta “TICKET INFORMATION”. Incrocio lo sguardo della ragazza dietro il bancone e, per un istante, mi sembra di intravedere uno strano terrore nei suoi occhi, come se dicesse “Oh no, sono arrivati i Diavoli Bianchi”. No, non è possibile; chissà quanti occidentali vedrà ogni giorno in questo aeroporto…sicuramente mi sto sbagliando.
Con l’inglese più broken possibile, chiedo qualche informazione relativa al “bus ticket to Guilin?”.
È la fine. Il Diavolo Bianco l’ha puntata per davvero.
Nel panico più totale, rivolge lo sguardo verso le colleghe che però lo distolgono timidamente. Qualcuna addirittura fa finta di essere occupata. Nessuno si sacrificherà per lei oggi.
Ripeto con calma, scandendo le sillabe, “Ticket?”. È il punto di rottura. Prende coraggio e, con un filo di voce (quasi non la sento), mormora…
“tic?…”
Shewen
A Yangshou decidiamo di comprare un paio di baozi. Troviamo il baracchino giusto e consumiamo questi raviolini al vapore ripieni di felicità (avevamo una fame pazzesca).
Albi si alza e chiede il conto. La signora risponde shewen. Albi replica “English” ma ottiene di nuovo un shewen. Lui si incattivisce un po’ e mi guarda con l’espressione “Questi davvero non capiscono un cazzo” dopodiché, con voce più alta, ripete “English, English!”.
Shewen!!
Niente, non si capiscono.
“Albi, mi sa che intende seven“. Intanto la signora avrà pensato “Anni e anni di lezioni di Inglese buttati nel cesso…”
Expedia.it: “Ostello attaccato alla stazione”
Shanghai. Dopo circa 10 fermate di metro, quindi 1:30 di viaggio, arriviamo alla stazione di Xinzha Lu, accanto a cui dovrebbe trovarsi il nostro ostello. Dalla cartina sembra essere ad un passo, con gli zaini in spalla andiamo a cercarlo.
È qui che inizia il nostro incubo.
Andiamo su e giù per la strada, sembra essere quella giusta. In certi punti il nome corrisponde con quello delle indicazioni, in altri no e in altri ancora torna a essere corretto. Stiamo cercando il civico 1307 ma i numeri passano dal 999 al 203. Percorriamo un paio di volte le stesse strade. Ci fermiamo e ci guardiamo attorno in cerca di un punto di riferimento. Tiriamo fuori cartine, guide, ipad..niente. Telefono all’ostello ma non parlano inglese. Camminiamo ancora dopodiché telefono di nuovo all’ostello. Questa volta chi mi risponde mastica un po’ di inglese e mi becco un “You find chinese person”. Questo mi rincuora! Sono un miliardo e mezzo, quanto potrà essere difficile?
Intanto il sole è tramontato. I marciapiedi, fino ad un secondo prima brulicanti di persone, sono vuote. Stremati, ci fermiamo davanti al primo palazzo (un’altro hotel) e passiamo il telefono ad una ragazza che ha appena finito di lavorare lì dentro. Le spiegano la strada e lei ci fa cenno di seguirla. Questa volta mi sa che non abbiamo accumulato abbastanza karma positivo perché arrivati ad un semaforo ci dice di attraversare il ponte e camminare 5 minuti. A me ricorda molto questa scena.
Ovviamente ci manda completamente fuori strada.
Camminiamo dunque questi cinque minuti e arriviamo in una zona che proprio non ci convince, sembra un po’ il Bronx degli anni ’70. Fermiamo un altro ragazzo per far parlare anche lui con la lobby ma a metà ci ripensa e dice che conosce un hotel molto più bello e che dovremmo andare li. Siamo un po’ stufi. Sono passati più di 120 minuti di orologio da quando siamo usciti dalla metro, più di 8 ore da quando abbiamo lasciato la città precedente.
Fermo un taxi e faccio parlare la tassista con la lobby, ci mettono più di 5 minuti per capirsi. Ma dov’è questo posto? Ci porta in una strada chiusa da un cantiere e ci fa cenno di scendere. A gesti le chiediamo se è sicura che l’ostello sia qui. Va be, ci fidiamo. Poco convinti, paghiamo e ci incamminiamo.
Miracolo: troviamo l’ostello.
Ci mettiamo 10 minuti a capire quale sia la porta d’ingresso e, una volta dentro, finalmente riusciamo a fare il check in. Facciamo veramente schifo; madidi di sudore, puzzolenti, sconvolti.
Comunque era davvero a 5 metri dalla fermata, la stazione si vede quasi dal balcone. Bo.
“
Questo giro in tondo per ore mi ricorda molto quando arrivai a Nanjing anni fa. Per leggere invece dei miei due viaggi a Shanghai puoi cliccare qui e qui.
Ps in allegato una loro foto scattata al Tiantan, il Tempio del Cielo di Pechino. Per dimostrare che non sono rimasti in casa per due settimane, come invece hanno fatto Federico e Alessandro