Il Natale è appena passato e il nuovo anno è alle porte. Avevo iniziato a scrivere un articolo pertinente alle feste, ma un po’ gli impegni lavorativi e un po’ quelli personali non sono riuscito a finirlo in tempo per Natale e non mi pareva bello mandarvelo in ritardo. Invece mentre giravo su associna ho trovato pubblicato un articolo di Panorama scritto da una ragazza cinese, che potete scaricare in PDF qui.

Ora, non mi trovo completamente d’accordo con l’autrice quando scrive: Dal mio punto di vista la Chinatown di Prato nasce non per volere dei cinesi. I cinesi non si sono imposti pensando di creare un loro quartiere o pensando di lavorare illegalmente, perché forse i cinesi non partono con queste idee, ma in ogni parte del mondo in cui emigrano si creano la loro Chinatown. Ora, non fraintendetemi, con questo non voglio dire nulla più di quello che scrivo, anche perché troppo spesso ci dimentichiamo che noi italiani abbiamo fatto e continuiamo a fare la stessa cosa. Non è un caso che le comunità più famose in giro per il mondo siano proprio Chinatown e Little Italy.

Riguardo al lavoro “illegale”, quanti italiani lavorano in nero per volere loro o per imposizione di qualcuno? Sempre di lavoro illegale si tratta ma nel caso dei cinesi e degli immigrati in generale questo porta anche ad una residenza illegale. Vivendo all’estero vi assicuro che nonostante tutti gli aiuti che ricevo dall’azienda e non solo, fare le cose per bene per la richiesta del visto è un’impresa ardua. Non oso immaginare cosa debba essere per chi non ha nessun aiuto e che con tutta probabilità non parla neanche la lingua del posto, aggiungendo anche il fatto che è troppo impengato/a a lavorare a macchina 12 ore al giorno per poter seguire al meglio le pratiche.

A parte questo, ciò che Malia Zheng scrive nell’articolo sopra citato lo dico anche io da anni. Ovviamente bisogna accettare il fatto che alcuni cinesi schiavi ci siano e penso soprattutto alle donne, ma questo non è forse vero anche per chi viene dall’Ukraina, Slovacchia, o magari da paesi africani e che sono costrette a lavorare a lato strada?

Bisogna però notare che quelli che lavorano nelle fabbriche/dormitori, spesso non sono schiavi. Tutti i cinesi sono molto pragmatici e la maggior parte sono anche dei grandi lavoratori e quindi se sanno che per ogni ora di lavoro vengono pagati X, o per ogni unità prodotta ricevono Y, saranno loro stessi a lavorare come delle bestie da soma per poter mettere da parte quanto si sono prefissati. Questo non è essere schiavi, anzi è addirittura maggiore libertà rispetto agli obblighi di chiusura settimanale imposti in Itlaia. Quando parlavo con degli amici cinesi mi veniva spesso detto: “se io voglio lavorare 365 giorni all’anno devo essere libero di farlo, se voi (italiani) vi volete riposare, non potete imporlo a chi invece non ne sente un così forte bisogno”.

Detto ciò, se non avete ancora letto l’articolo in questione, vi invito a farlo presto poiché fornisce una visione alternativa riguardo la questione cinese, e Dio solo sa quanto ne avevamo bisogno.

Qui puoi leggere il mio primo articolo riguardo la tragedia di Prato.