Avevo scritto questo articolo domenica 25 maggio, ma poi ho lasciato spazio allo scritto di Lisa e pubblico questo racconto con una settimana di ritardo.
La mattina ti accorgi di essere sveglio prima ancora di aprire gli occhi. La sera, ti addormenti solo dopo averli chiusi, eppure è la vista ad essere il senso preponderante, quello che da solo occupa metà della zona cerebrale destinata ai cinque sensi, quello che ci guida maggiormente nella vita di tutti i giorni. Quello che ci aiuta quando dobbiamo versarci un bicchiere d’acqua o salire le scale o evitare di andare contro qualcuno.
Nonostante tutto questo, è l’olfatto il senso della memoria, sono gli odori che ci colpiscono all’improvviso quelli che ci fanno vagare indietro nei ricordi fino a trovare un evento o una persona particolare a cui associarli.
Stamattina sono stato a vegetare nudo sul divano, complici il caldo e l’inquinamento pesante che affliggono Pechino negli ultimi giorni. Sono rimasto lì per ore, a guardare una serie TV sul tablet mentre mangiavo ciliege per colazione e pasta al ragù per pranzo. Mentre ascoltavo il sottofondo monotono del depuratore d’aria e il canto di baibai che interrompeva irregolarmente con il suo frinire.
Tutto questo fino a che gli occhi non mi hanno fatto male a furia di guardare lo schermo retroilluminato ed ero così annoiato che avevo iniziato a pensare di mettermi a stirare per passare il tempo, nonostante il caldo e l’umidità dell’appartamento.
È stato in quel momento che guardando per caso fuori dalla finestra ho visto gli alberi piegarsi sotto la spinta del vento che soffiava incessante. È stato in quel momento che mi son detto: se c’è così tanto vento forse l’inquinamento è stato spazzato via. Ho controllato velocemente l’app di qualità dell’aria e segnava un AQI al di sotto di 60. Era la svolta della giornata. Mi sono alzato, ho fatto partire la lavatrice, ho aperto tutte le finestre e mi son messo a guardare un’ultima puntata aspettando che i vestiti fossero pronti per essere stesi. Ho ritirato i vestiti asciutti e steso quelli appena lavati, mi son dato una spazzolata ai denti e ho portato giù la bici. Sono saltato in sella ed indeciso su dove dirigermi, ho preso Xiaoyun Lu fino al 798, dove lavora Huanzi.
Cogliendo l’occasione dell’aria fresca ho spinto sui pedali come non facevo da un mese, in 15 minuti ero alla galleria ma Huanzi non c’era, così ho deciso di continuare fino al Huantie, ma quando ero quasi arrivato ho deciso di andare dritto al posto che girare a sinistra. Ho deciso di esplorare una strada che mi ha sempre chiamato e a cui non ho mai risposto. Dopo poco sono stato colpito dall’odore fresco di un corso d’acqua dolce, ed all’improvviso ho pensato a Gallo, al mio miglior amico, a quanti corsi d’acqua hanno segnato la nostra amicizia, l’Adda, il naviglio, un fiume dal nome sconosciuto al confine fra Spagna e Portogallo.
Ho continuato per la strada che da asfaltata è diventata di terra battuta, con la polvere che ti impasta la bocca e ti blocca le narici. Ho pensato a quando ero piccolo e con mio cugino Francesco sono andato ad esplorare i campi di granoturco vicino casa facendo spaventare i genitori per la nostra prolungata assenza.
Un camion mi ha superato alzando ancora più polvere ed è sparito dietro una curva a nord, immersa fra i salici piangenti e i pioppi. Ho chiuso gli occhi e mi sono beato del vento che soffia fra i rami, quel soffio che fa parlare gli alberi che accarezza, che gli fa dire frasi che solo un orecchio attento può comprendere: perché te ne stai fra i clacson e i tubi di scappamento, quando potresti vivere ascoltando ciò che ho da dirti?
Sono arrivato al capolinea e sono tornato indietro, ho preso quella curva a destra che prima era sulla sinistra ed ho continuato verso il Huantie, ma alla seconda curva a sinistra sono andato ancora dritto, per esplorare un altro pezzo di mappa che fino a ieri marcava hic sunt leones.
Sono passato davanti ad un club privato “General’s club” con una guardia al cancello che non ha smesso di squadrarmi fino a che non sono uscito dal suo campo visivo. Ho girato nuovamente verso nord e l’odore di spazzatura mi ha colpito le narici. Quell’odore di cibo in decomposizione, di plastica cotta al sole e chissà cos’altro. Un cane stava aprendo un sacchetto con la bocca, mentre una spazzina ne stava smuovendo un altro con un bastone. Il primo stava sicuramente cercando qualcosa da mettere sotto gli incisivi. La seconda stava probabilmente cercando una bottiglia di plastica da poter rivendere al centro di riciclo.
Lì di fianco, con ancora l’odore di monnezza nell’aria, c’era una ragazza con della carne esposta sul piano di appoggio del suo tre-ruote. Appena dopo di lei si vendeva frutta e verdura. Dopo ancora, c’era un’altra casetta aperta su un lato e piena di spazzatura, che emanava lo stesso odore della prima, ma a questa non c’erano cani e l’addetta era seduta a due metri di distanza a contemplare il frutto del suo lavoro.
Sono entrato nell’ennesimo quartiere povero, con case a un piano ammassate l’una sull’altra, con cani sporchi e malconci attraversare guardinghi la strada. Con i bimbi a giocare su un materasso ammuffito, con altri a giocare con della sabbia da costruzione ammassata lì di fianco e che al mio passaggio si sono fermati per guardarmi allargando gli occhi fino a non poter distinguere più la forma a mandorla tipicamente orientale. Un infante stava facendo i suoi bisogni nella stessa sabbia in cui gli altri giocavano, con l’incoraggiamento di una signora che gli diceva di spingere, spingere un po’ di più.
In quel momento ho notato che nonostante la povertà che regnava in quel luogo, ogni casa aveva una parabola posizionata sul tetto e mi son ricordato che le priorità di ognuno sono estremamente diverse.
Sono arrivato in fondo alla via e sono tornato indietro, ripassando di fronte alle case con la parabola, ai cumuli di spazzatura, alla ragazza con la carne esposta sul banchetto, al fiume. E tornando sulla strada principale ho realizzato nuovamente quanto due mondi differenti esistano a breve distanza l’uno dall’altro senza quasi incrociarsi (come scrissi qui). Basterebbe solamente andare dritti al posto che girare sempre a sinistra.
Verissimo come gli odori evochino facilmente memorie e rendano tutto più vivo! Detto da uno che ha il raffreddore 365 giorni l’anno….
Eh eh, e quindi non ti ricordi nulla?
Perdersi in bici è sempre una delle cose più belle da fare!
In Italia mi piaceva “perdermi” in bici e così facendo ho esplorato un sacco di parti di Cernusco, Bussero e altro posti che non sapevo neanche esistessero.
Ma farlo in Cina dove dietro ad un palazzo scintillante nuovo di pacca ci potrebbe essere uno slum o una discarica è un’emergenza ancora più incredibile, e cerco di farlo il più spesso possibile.
che prosa poetica questa volta jappo
mi sono commossa a pensare all’amicizia e alle evocazioni dei corsi d’acqua.
i nostri destini sono come fiumi…
grazie per le belle parole
🙂
Questo articolo lo stavo “scrivendo” nella mia testa mentre ero in bici, rileggendolo mi sono accorto che ho saltato un paio di cose ma il risultato è stato comunque molto vicino a quello che mi ero appuntato mentalmente in sella
“Perdersi è l’unico posto che vale la pena di visitare”….queste parole da “venezia è un pesce” che tu conosci e che hai messo in pratica in Cina.
grazie jacopo dei tuoi racconti in cui io mi perdo.
che è una delle poche citazioni che mai faccio, e che è un po’ la mia filosofia di vita.
Alla fin fine che gusto c’è ad andare sempre dove si sa dove si sta andando? Che noi percorrere sempre le stesse strade che sanno già dove portano.
“Solo facendo cose che non si sono mai fatte si possono raggiungere risultati che non si sono mai ottenuti” (anche questa è una citazione a memoria e quindi possibilmente errata, oltre a non ricordarmi chi l’ha detta)
la citazione che ho riportato non sono certa sia esattissima…..più o meno so di averci azzeccato visto che anche io sono andata “a memoria”.