Vivere in Cina non è facile, soprattutto se non sei pronto ad accettare tutte le differenze culturali che esistono tra noi e gli abitanti di questo meraviglioso quanto strano paese, ma se si vuole proprio prendere le cose di petto, fare una terapia culturale d’urto, allora consiglio vivamente di venire a Pechino e vedere come vivono alcuni lavoratori cinesi in un ostello. Come vi avevo già accennato per il primo periodo, a causa di varie cose che uso come scusa per giustificare la mia pigrizia, sono rimasto a vivere in un ostello della gioventù, e non uno qualunque, il Zhaolong Int. Youth Hostel. Se cercate un ostello con uno staff gentile, camere pulite e un ambiente internazionale, beh, questo ostello non fa per voi.
Lo staff è quanto di più menefreghista e maleducato esista, ma devo dire che alla fine del mio soggiorno, sebbene mi sia ripromesso di non tornare mai più in quel posto orribile, mi ero quasi affezionato a quel signore all’ingresso che con molta gentilezza rispondeva alle richieste dei turisti con un secco “no, non abbiamo camere”, nonostante di camere ce ne fossero eccome. Perchè se vai in quell’ostello senza una prenotazione, loro se ne fregano, non ti accettano, ti dicono che non ci sono camere, poi tu davanti a loro fai una velocissima prenotazione con il cellulare e voilà, la camera si rimaterializza. Hanno la faccia di dirti a 2 minuti di distanza che ora una camera è disponibile e che se vuoi puoi andare a guardarla prima di alloggiare. Le cameriere entreranno nella tua camera noncuranti di quello che stai facendo, e inizieranno a pulirti intorno, come se tu fossi solo un oggetto d’arredamento.
Nonostante all’inizio io abitassi in una camera con alcuni cinesi, dopo un po’ mi hanno messo in una camera da solo, per la mia felicità, perchè avevo uno spazio per 5 tutto per me. Solo dopo ho scoperto che l’hotel, di proprietà del governo, aveva deciso di non far alloggiare più stranieri con cinesi, e tenere una sorta di camera apposita per backpackers stranieri, non si sa per quale motivo, forse abbiamo una brutta influenza su i poveri cinesini o forse non volevano mostrarci come molti cinesi vivono nella loro struttura. Se poi siete fan del Grande Fratello allora questo ostello è la scelta giusta: ci sono telecamere ovunque, forse anche nei letti, e dietro una porticina al 3° piano ci sono dei signori in giacca e cravatta, con archivi infiniti, che tengono sotto controllo tutta la situazione, sanno chi sei, quando sei arrivato, ti rilasciano il permesso di rimanere lì, e probabilmente fanno tante altre cose di cui ignoro la natura. Si chiamano “Ufficiali della sicurezza” e a guardarli sembrano più agenti segreti che altro…
Gli incontri che si possono fare in un ostello a Pechino sono dei più emozionanti al mondo. Quando si parla di fuga dei cervelli, bisogna notare che non è un fenomeno che riguarda solo l’Italia e a volte il cervello è fuggito molto prima di quanto non abbia fatto il corpo del viaggiatore, ma in un’altra direzione. Tante persone, da tutto il mondo, vengono in Cina a cercare fortuna. Molti vengono all’avventura, con un lavoro da insegnante che hanno trovato su internet, e che una volta arrivati qui, scoprono essere una bufala, con tutte le perdite economiche e di morale che ne conseguono. Spesso questi si trovano quindi senza soldi, senza lavoro, con un visto turistico e senza avere i mezzi (parlare cinese per esempio, o avere qualche amico qui che li possa aiutare) per trovare un impiego. Spesso quindi si riducono in situazioni disperate, come un signore canadese che dopo aver scoperto che il suo lavoro non esisteva, ha passato il resto dei suoi giorni a bere seduto ad un tavolo della hall dell’ostello, insultare la gente che passava, fino a che non ha finito i soldi, gli è scaduto il visto e l’ambasciata è dovuto intervenire per il rimpatrio e per la sua sussistenza. Quando l’ultimo giorno, ormai quasi in partenza, con la sua bocca sdentata e la sua camminata zoppa, mi disse: “Per favore aiutami a vendere il computer a qualcuno, anche 200 kuai (equivalente di circa 30 euro, forse meno) mi vanno bene per andare a cercarmi un lavoro, non voglio tornare in Canada” io gli diedi una pacca sulla spalla e gli augurai buon viaggio, cercando di convincerlo che non era proprio una buona idea.
Un altro ragazzo americano invece lo vidi dormire per un paio di sere nella hall, e quando gli chiesi se avesse una stanza mi rispose solo con uno “sssshhhhhhhhhhhhhhhh”, rimettendosi a dormire. Un giorno mentre era lì che dormiva, un ragazzo cinese, che poi è diventato anche un amico, giocava tranquillo con il suo Ipad lì accanto. Assetato andò a prendersi un bicchiere d’acqua, lasciando l’Ipad lì sulla sedia. Io che stavo studiando mi alzai un attimo, tra un carattere cinese e l’altro, per prendermi un gelato. Tempo di aprire e chiudere il freezer e sia il ragazzo americano che giaceva quasi morto sul divano, sia l’ Ipad del povero ragazzo cinese erano spariti. Il ragazzo, evidentemente disperato per problemi economici, era fuggito con il dispositivo, probabilmente con l’intenzione di venderlo e ricavarci il necessario per un biglietto per gli states. Nonostante le mille telecamere la polizia decise che non si poteva fare niente perchè quello era un luogo pubblico, e se lasci qualcosa in un luogo pubblico e qualcuno lo prende, non è furto (!!!????).
Queste sono solo alcune delle scene a cui ho assistito durante il mio lungo soggiorno nell’ostello. Devo dire che però la cosa che mi ha colpito di più di quel posto non erano i poveri laowai che erano stati fregati dal destino e si ritrovavano in difficoltà, quanto il fatto che l’ostello fosse realmente abitato da lavoratori a lungo termine. Persone che, con un ufficio lì vicino, non volevano tornare a casa e sentirsi soli, non volevano spendere molto per un alloggio (i prezzi degli affitti, a Pechino, sono completamente sproporzionati rispetto a quelli di altri beni) e quindi per loro era abbastanza accettabile vivere per due anni con solo un letto in un dormitorio da 6 persone, condividendo la stanza, in cui ci entravano giusti giusti i letti e 6 persone, con altri cinesi provenienti da chissà dove. Non si trattava solo di poveri disperati, anche signori con un buon posto di lavoro e un ottimo stipendio alloggiavano in queste condizioni (a cui tra l’altro anche io mi ero presto abituato, lo so, sono pazzo).
Vivere in un ambiente del genere mi ha fatto capire quanto i cinesi siano disposti a sacrificarsi per risparmiare e quanto qui la sfera privata sia molto meno importante, o comunque “diversamente” importante. Ho risparmiato anche io un sacco di soldi, oltre ad essere quasi sempre circondato da cinesi, avere la possibilità di parlare mandarino tutti i giorni (quando sono arrivato non sapevo dire nemmeno nihao con la giusta intonazione) e ho avuto l’opportunità di conoscere un sacco di persone, conoscere le loro esperienze e guardare il mondo da un altro punto di vista, quello sia del backpacker che gira il mondo non si sa con quali soldi e con una barba che tocca terra, sia del cinese che probabilmente ha visto ben poco del mondo, ma che si trova bene a vivere in compagnia, di qualunque compagnia si tratti…
L’altra sera parlando con un amico che vive in un vecchio courtyard in uno degli hutong più vecchi di Pechino (bellissima dimora, tra l’altro), ho ascoltato con poca meraviglia i suoi racconti sui cinesi che con molta indiscrezione gli entrano in casa attirati dal profumo dei cornetti, cercando di capire che cosa stia cucinando e facendo commenti in cinese che tra l’altro lui non capisce, e di come ogni volta sia costretto a cacciarli, cercando gentilmente di fargli capire cosa sia la privacy.
Ora è più di un anno che vivo in un appartamento con la mia stanza e un solo coinquilino e devo ammettere di essere stato un incosciente a rimanere lì per così tanto tempo e che probabilmente non sarei capace di rivivere un’esperienza del genere, però quell’ostello rimarrà sempre nei miei ricordi, nel bene e nel male.
ahahah veramente assurde certe cose !!! Bel racconto Anto, in bocca al lupo !!!
Grazie Anto, contento che ti sia piaciuto! Crepi e in bocca al lupo anche a te. Salutami Ale e la mamma!
Come hai fatto!
bel racconto Antonio….non tanto da paura quanto i topi di jacopo , se ci penso….
comunque quando il tuo amico riesce a far capire ai cinesi cosa sia la privacy fate una mega festa? 🙂
ciao!
chissà perchè, ma mi immagino letti strettissimi e spazi ancora più stretti. Magari però mi sbaglio.
Hehehe, non ti sbagli affatto!