Dopo qualche giorno di attesa, ecco la seconda parte dell’articolo riguardo la mia visita nello Xinjiang (qui la prima parte).

Sono veramente tantissime le cose da raccontare e probabilmente sarebbe necessaria almeno una terza parte, ma cercherò comunque di concentrare tutto qui per non correre il rischio di annoiare eccessivamente.

Il cibo dello Xinjiang

Ciò che mi viene chiesto più frequentemente quando dico che sono stato nello Xinjiang. “Ma è proprio buono vero?”, “mangiavi chuanr anche a colazione?”, “esistono verdure?”, “è come quello che trovi dagli xinjiangesi che ci sono a Pechino?” sono solo alcune delle domande più ricorrenti.

Ebbene si, è squisito e non è assolutamente paragonabile a quello che puoi trovare a Pechino o in altri posti della Cina. Per quanto riguarda i chuanr a colazione, diciamo che ci è mancato poco, ma essendo stato nello Xinjiang solamente per un periodo limitato ed essendo la carne veramente eccellente non potevo fare a meno di mangiarla tutti i giorni, nonostante non sia un gran consumatore di carne in Cina.

Nota di Jappo: “in Mongolia ho mangiato pecora anche a colazione

“Ma che ci sarà mai di così diverso?” Per rispondere a questa domanda faccio sempre il paragone con un ristorante italiano in Italia e un ristorante italiano in Finlandia (con tutto il rispetto per i cuochi finlandesi). La diversità è dovuta principalmente alla qualità della carne, elemento sicuramente al centro della cucina xinjiangese: tutti gli ovini e bovini vari dello Xinjiang, infatti, crescono in un ambiente per loro estremamente favorevole, vengono spesso allevati in immense praterie dove possono nutrirsi di un’infinità di erba non inquinata da grandi impianti industriali. Sono proprio l’ambiente in cui vengono allevati e il cibo di cui si nutrono a renderli diversi rispetto a, per esempio, i loro simili allevati in Tibet o nel Qinghai (altre regioni famose per la qualità della carne, ma molto più aride): nutrendosi esclusivamente di erba fresca, assumono più liquidi e questo rende la loro carne decisamente più tenera.

Chuanr, nang e kaobaozi vari.

Chuanr, nang e kaobaozi vari.

Il modo in cui viene cotta è inoltre estremamente importante, e anche molto particolare. Spesso vengono messi animali interi (anche cammelli in particolari occasioni), ovviamente precedentemente scuoiati e puliti, in enormi calderoni di terra e mattoni al cui interno viene bruciato del legname per la brace lasciando l’animale a cuocere lì dentro. Si tratta dei nangkang, termine forse traducibile come “forni per le nang” (le nang, sono una sorta di ‘pizzette’ di pane non lievitato e condito con sesamo, tipiche della cucina araba).

Dal nome di questi forni si può intuire come questi vengano utilizzati anche per la cottura di nang o kaobaozi, una specie di samosa. L’aspetto interessante è che, sia le nang che i kaobaozi  vengono ‘appiccicati’ sulle pareti all’interno del calderone e si lasciano lì per circa 5-10 minuti. Garantisco che una nang cotta in questo modo e mangiata appena sfornata non ha nulla da invidiare al fornaio dove compro la pizza bianca sotto casa, e che i kaobaozi sono così buoni che quasi si sciolgono in bocca.

Ma la cucina xinjiangese non è solo carne e chuanr. Come molti sanno, i xinjiangesi consumano una grandissima quantità di pasta di tutti i tipi, tant’è che non ricordo di aver mai visto riso. Inoltre, dopo la cottura, la pasta e i vari condimenti non vengono saltati in padella, permettendo dunque al piatto di rimanere piuttosto leggero. Per certi aspetti, questo rende la cucina xinjiangese simile a quella italiana.

Un altro aspetto interessante dello Xinjiang è che, essendo una regione popolata da quasi tutti i 56 gruppi etnici cinesi, è possibile assaporare cucina tradizionale di ogni tipo. Un fatto poco conosciuto è che nello Xinjiang ci sono tantissimi Sichuanesi e Chongqingesi (il Sichuan e la municipalità di Chongqing sono il primo e il secondo partner commerciale dello Xinjiang), e dunque ci sono anche tantissimi ristoranti che offrono Chuancai o Chongqing hot pot.

Un’altra cosa che mi ha stupito particolarmente e che è presente, purtroppo, solo nello Xinjiang, è una catena di fastfood locale: Baifu. È praticamente tutto identico ad un qualsiasi fastfood americano ma tutto halal, e tutta la carne è rigorosamente cotta alla brace (shui kao). Non viene utilizzato olio neanche per le patatine fritte!

Mangiando in un qualsiasi ristorante dello Xinjiang, è possibile inoltre osservare alcuni elementi che contraddistinguono la cultura uyghur. Al contrario di qualsiasi altra parte della Cina, e soprattutto al contrario degli Han e di molte altre minoranze etniche (specialmente della Cina meridionale), gli uyghur hanno grandissimo rispetto per il cibo e per l’ambiente in cui si mangia (caratteristica comunque comune a tutte le culture arabe). Qui di sotto elenco alcuni degli aspetti più importanti, validi ovunque, anche nei posti di livello molto basso dove un pasto costa 15 yuan:

  • Non troverete mai uyghur urlare a squarciagola “cameriere” (è considerato di una maleducazione estrema), i ‘fuwuyuan’ vengono chiamati con un cenno del braccio;
  • Durante il pasto, gli uyghur tengono il tono della voce piuttosto basso per non disturbare gli altri, al contrario di molti altri (soprattutto Han) che urlano e gridano come se fossero allo stadio;
  • Nessuno ‘sputa’ i resti di cibo/ossa sul piatto o per terra;
  • Se cade qualcosa dal piatto, viene immediatamente raccolto e gettato nei cestini presenti vicino ad ogni tavolo;
  • La forchetta è ampiamente utilizzata (anche se le bacchette restano la posata principale);
  • Nessuno sta inchiodato al cellulare, durante il pasto si comunica, si chiacchiera e si ‘intrattengono relazioni sociali con persone vive’;
  • Finito il pasto, niente deve rimanere sul tavolo. Lo spreco è forse la cosa peggiore che si possa fare in un ristorante uyghur, qualsiasi avanzo deve essere incartato (‘dabao’) o eventualmente dato in pasto ai cani randagi.

Si tratta di aspetti culturali che da questo punto di vista rendono gli uyghur molto simili agli italiani, e che hanno reso l’esperienza di ogni pasto molto positiva e gradevole, al contrario di ciò che accade a Pechino.

Socializzare in Xinjiang

Un’altra caratteristica degli uyghur, contrariamente a quanto molti pensino, è il loro carattere estremamente socievole. Tutte le persone con le quali ho conversato si sono dimostrate molto interessate a me, facendomi un sacco di domande, invitandomi a mangiare e anche a bere (molti uyghur bevono alcool nonostante la fede islamica: questo perché, come tutte le religioni, anche tra i musulmani uyghur esistono diverse scuole e fazioni, la maggior parte delle quali non vieta l’utilizzo di alcool e fumo, almeno nei periodi al di fuori del Ramadan). Una sera, mentre ero seduto a mangiare in uno dei yeshi (mercato notturno dove è possibile stare seduti all’aperto a mangiare o a bere) di Yining, venni praticamente circondato dai vicini di tavolo, accorsi per salutarmi (rigorosamente con una stretta di mano, altra tipica usanza di uyghur e kazaki che gli Han o altri cinesi non hanno) e per bere e chiacchierare con me; il loro esempio ovviamente venne seguito anche da altri vicini, e poi altri ancora, fino a che ad un certo punto mi ritrovai a parlare e scherzare con 4 tavoli tutti insieme e a bere e a stringere decine di mani. Il tutto sotto gli occhi di una dozzina di unità speciali che presidiavano il mercato (questo tipo di luoghi potrebbero essere facile bersaglio di atti terroristici).

A volte mi sono trovato anche a parlare di religione, in particolare Cristianesimo, un argomento che in molti casi è, almeno inizialmente, inevitabile visto che spesso la prima domanda che ti viene posta è “sei musulmano?” o “ci sono tanti musulmani in Italia?”. Ma anche su questi argomenti ho trovato tutti i miei interlocutori molto attenti e interessati, molto aperti al dialogo e con parecchia voglia di conoscere.

Prima di recarmi nello Xinjiang sapevo già che gli stranieri sono molto ben visti dagli uyghur e che vengono trattati quasi come fratelli (mentre Han o altre minoranze etniche, in particolare kazaki, non lo sono), ma comunque non mi aspettavo un’accoglienza così calorosa né tantomeno di trattare temi religiosi. Questo mi ha spinto un giorno a visitare due moschee a Yining, una per uyghur e una per Hui. Inizialmente queste visite non rientravano nei miei piani (confesso che avevo il timore di sembrare fuori luogo e che una mia visita in quei luoghi venisse vista come una sorta di oltraggio alla religione islamica), ma venni incoraggiato nel farlo proprio da molti giovani, adulti e anziani locali.

È stata una bella esperienza, anche perché era la prima volta che entravo in una moschea.

Moschea Hui

Moschea Hui

Ci sarebbero tantissime altre cose di cui parlare e tante curiosità da raccontare, come per esempio il fatto che quando si deve fare rifornimento di benzina al proprio veicolo, solamente il guidatore può entrare nella stazione, mentre tutti gli altri passeggeri del veicolo devono scendere prima di entrare e attendere all’uscita; o il fatto che, contrariamente a quanto si possa pensare, il costo della vita nello Xinjiang è estremamente alto, direi come Beijing (mentre gli stipendi sono molto più bassi): questo perché, fatta eccezione per le cose prodotte localmente, tutto il resto proviene dalle altre zone della Cina, con costi per il trasporto estremamente alti; o che lo Xinjiang, nonostante sia il principale produttore di petrolio e gas naturale del Paese, nonché corridoio attraverso cui passano i quattro gasdotti che collegano Cina e Asia Centrale (con un quinto tra Cina-Russia in costruzione) e l’oleodotto Cina-Kazakhstan, il prezzo del gas nello Xinjiang è molto più alto che nel resto della Cina (secondo fonti locali, addirittura cinque volte superiore a quello di Shanghai), fattore che continua ad alimentare molto scontento tra la popolazione locale; si potrebbe anche parlare del fatto che nello Xinjiang è possibile trovare prodotti europei a prezzi molto bassi, grazie alle numerose zone di libero scambio situate lungo i confini con Kazakhstan o Russia (mentre gli altri confini, in particolare Pakistan, Afghanistan e India sono prevalentemente chiusi o difficilmente accessibili/altamente militarizzati), o che gli xinjiangesi amano mangiare formaggio (cosa piuttosto rara in Cina). 

I trasporti nello Xinjiang

Tuttavia, per concludere questa seconda e ultima parte di questo blog, scelgo di dedicare un altro po’ di righe ai trasporti. Ovviamente consiglio a tutti di replicare la mia esperienza e di recarsi nello Xinjiang in treno (il 25 dicembre 2015 verrà inaugurata la linea ad alta velocità Urumqi-Lanzhou, che verrà estesa fino a Pechino entro il 2017, permettendo di arrivare dalla capitale al capoluogo di regione dello Xinjiang in 13 ore), tuttavia, per chi non avesse tempo o voglia di affrontare un viaggio così lungo, si può tranquillamente andare in aereo: lo Xinjiang è la regione con il più alto numero di aeroporti in tutta la Cina (22), con voli nazionali in tutto il Paese o internazionali per Russia, Mongolia e Asia centrale. Il problema sorge però una volta arrivati nello Xinjiang: il sistema dei trasporti regionale è molto poco sviluppato, la rete ferroviaria collega solamente le maggiori città, spesso a distanze spropositate l’una dall’altra e non direttamente collegate. Un altro metodo di trasporto molto utilizzato è il pullman, soprattutto per recarsi nelle città non collegate dalla rete ferroviaria, ma le tratte sono estremamente lunghe. Questo è dovuto in parte alla geografia dello Xinjiang, al nord e al centro attraversato dalla catena di monti Tianshan, mentre il sud completamente ricoperto dal deserto del Taklamanan.

Catena di monti Tianshan nella prefettura di Bortala

Catena di monti Tianshan nella prefettura di Bortala

Ciò significa che, utilizzando i trasporti pubblici, è impossibile recarsi in quei luoghi meravigliosi che lo Xinjiang offre, dalle immense praterie e i suggestivi laghi alpini fino alle fittissime foreste di taiga o ai folkloristici villaggi di minoranze etniche. L’unico mezzo che permette di recarsi in questi posti è una moto (mezzo altamente diffuso nello Xinjiang) o una macchina. È per questo che, appena tornato da questo viaggio, ho immediatamente fatto l’esame per la patente cinese, in modo tale che la prossima volta potrò guidare e dunque andare in tutti quei magnifici luoghi che non ho potuto visitare questa volta.

Spero che questo racconto ti sia piaciuto e che ti abbia fatto venire voglia di visitare lo Xinjiang. È un posto veramente fantastico che vale la pena scoprire.

Io stesso, scrivendo questo articolo, ho rivissuto tutte queste esperienze e ricordi indimenticabili (e tanti altri che purtroppo, per questione di spazio, non ho potuto raccontare), perdendomi spesso in lunghi viaggi mentali che non hanno fatto altro che accrescere il mio desiderio di tornare. Ho programmato un ritorno all’inizio del prossimo anno, questa volta nel Xinjiang del sud (sfidando i -30°/-35° gradi dell’inverno locale), con la speranza di poter tornare a raccontarti nuovamente le bellezze di questa terra unica.

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