Quando si parla di nerd, geek e otaku non può che venire in mente il Giappone, esportatore della cultura dei manga, degli anime e dei videogiochi. Questa parte della cultura giapponese, entrata prepotentemente nelle nostre vite tra gli anni ’80 e i ’90, ha prodotto generazioni di nerdoni con i fondi di bottiglia e i brufolazzi e fanboy vestiti da cose strane come quelli che popolavano Studi Orientali a Roma quando studiavo lì.

Otaku è proprio la famosa parola che definisce i nerd giapponesi, quelli più sfegatati, che non escono di casa per settimane o mesi, giocando a multiplayer online e mangiando perennemente dal 7/11. 宅男 zhái nán è la precisa traduzione di Otaku in cinese (basta sostituire nán con nv di donna per il femminile) e 宅 è la sua abbreviazione.

L’aggettivo 宅 assume però anche un’accezione meno legata al mondo dell’informatica, dei videogiochi e dei manga. Una persona 宅 è semplicemente qualcuno che ama stare a casa a oziare o coltivare i propri hobby, esce poco di casa e preferisce un film sul divano ad una birra in compagnia.

Ora che i videogiochi stanno portando la gente per la strada alla ricerca di mostriciattoli o cose simili mi sa che bisognerà rivedere un po’ il vocabolario.