Claudio Pelizzeni, ex vice direttore di filiale di banca ha mollato tutto per seguire il suo sogno: fare il giro del Mondo in 1000 giorni. Senza aerei!
Se non conosci Claudio Pelizzeni e la sua storia, molto male perché l’intervista di oggi è un po’ diversa dalle solite, ma possiamo recuperare al volo. Claudio è piacentino, ha poco più di 30 anni e, dopo anni della solita vita di routine, di treni Piacenza-Milano, si stanca e decide un cambiamento. Un giorno di pioggia, proprio sul treno di ritorno da Milano, vede un tramonto che lo spinge a fare “una pazzia”. Torna a casa e davanti allo specchio capisce che deve mollare tutto e rincorrere il suo sogno: fare il giro del Mondo. Ispirato dal libro “Un indovino mi disse“, in cui Tiziano Terzani passa un anno senza prendere aerei, decide che anche lui avrebbe viaggiato più lentamente. Perché gli aerei ti portano velocemente ed efficacemente dal punto A al punto B, ma ti fanno perdere tutto quello che c’è nel mezzo.
L’11 Febbraio scorso, Claudio è tornato a casa dopo 1000 giorni di viaggio ed ha scritto il libro L’orizzonte ogni giorno un po’ più in là: Il giro del mondo in 1000 giorni senza aerei . Altro che “il giro del mondo in 80 giorni”!!
Inutile dire che l’ho divorato, ed ho intervistato Claudio al telefono, così oggi vi racconto un po’ quello che ci siamo detti.
1. La persona oltre al viaggio
Claudio, nel tuo libro c’è un passaggio che recita “Ero una persona, prima che il mio viaggio”. La pensi ancora così?
Non più, ma quando ero in Sud America ho attraversato un momento particolare. Dopo più di 800 giorni in giro per il mondo ero stanco di raccontare sempre del mio viaggio. Ogni persona che arrivava in ostello sapeva che stavo facendo il giro del mondo e voleva sentire al mia storia. Questo mi pesava molto.
Ora però provo una sensazione differente, perché il viaggio che ho fatto è comunque parte di me, e parlare del viaggio è anche parlare di me. All’epoca non avevo ancora raggiunto questa consapevolezza, e mi pesava il fatto che mi si chiedesse solo del viaggio e non altro. Neanche domande semplici come qual è il mio colore preferito o cosa mi piace bere.
Beh, allora qual è il tuo colore preferito?
il blu.
E cosa ti piace bere?
Vino rosso. Il vino non solamente come l’atto del bere, quanto l’atmosfera che si crea. Penso che bere vino sia l’ultimo rituale collettivo che ci è rimasto in Italia. Nella nostra frenetica vita moderna non abbiamo più un momento in cui prendiamo una pausa e ci fermiamo ad ascoltare. Il caffè è un rituale troppo breve. Così come il mate in sud america o il tè in india (ndr: ma anche in Cina), non è tanto quello che bevi, quanto il momento di condivisione. Inoltre, col vino crollano anche molte barriere.
La tua passione per il vino traspare nel libro, ma anche quella per l’acqua, quella pura…
Sì, è così. Quando ero in Patagonia ho bevuto per mesi acqua che sgorgava direttamente dalle sorgenti, dai ghiacciai. Aveva un sapore unico. Pensa che magari ho bevuto acqua ghiacciata da 1500 anni. Un sapore inspiegabile, che sa di natura.
Ma non solo l’acqua. Quando ero in Nepal bevevo anche il latte appena munto, che non ha nulla a che vedere con quello che troviamo al supermercato.
2. L’evoluzione in viaggio
Ad un certo punto scrivi che “dal lunedì al venerdì piano piano muore il mio spirito, dentro una vita sempre uguale, sempre peggio”. Ma anche essere sempre in viaggio può portare ad una routine.
Nel libro ho cercato di rendere chiara la routine che avevo a casa con il suono della sveglia, la mancanza di voglia di andare al lavoro. La meccanicità dei movimenti. Se non stai attento, ti accorgi che hai sprecato la vita vivendo giorni, mesi e anni uguali a quelli precedenti.
Dall’altro lato, è vero che anche il viaggio può diventare routine, ma l’essere umano ha bisogno anche della certezza che può dare una certa azione ripetuta giornalmente. Per me era bellissimo quando ho rovesciato la routine in Sud America andando a scuola la mattina e lavorando il pomeriggio. Il problema non è la routine in sé e per sé, ma la passione che hai per quello che fai. Se non hai più passione, ti senti in gabbia, così come mi sentivo col lavoro in banca.
Spesso il viaggio non è solo geografico ma anche interiore. Quanto e come sei cambiato in un viaggio lungo 1000 giorni?
Paradossalmente non mi sento cambiato, forse ritrovato. Lo stile di vita che avevo prima era più distante, non era in linea con quello che sono e che mi sento di essere.
I miei principi, i miei valori non sono cambiati nel viaggio. Quello che è cambiata è sicuramente la consapevolezza. Ora posso parlare di certe cose perché le ho viste, le ho toccate con mano e ne ho esperienza diretta.
Nel libro parli spesso degli “incroci della vita”, è un concetto molto affascinante. C’è qualche incrocio particolare che vuoi condividere?
L’idea degli incroci è sicuramente presa dall’idea del viaggio. Del resto anche la vita è un viaggio e il viaggiatore sa che ad un incrocio può prendere una via o l’altra, la quale porterà ad un altro incrocio e così via. Credo non esistano scelte sbagliate in assoluto, perché proseguendo incontrerai altre scelte da dover prendere.
Di sicuro l’incrocio più importante che ho incontrato è stato quello di tre anni fa, quando davanti allo specchio di casa ho preso la decisione di partire.
La difficoltà consiste nel realizzare che in quel particolare momento ti trovi di fronte ad un incrocio. Per tutti è difficile capirlo, forse per il viaggiatore è più semplice, sia perché ha l’esperienza alle spalle, sia perché ha più tempo per interrogarsi sulle scelte e vedere più chiaramente la consecutio.
Nel libro dici anche “il viaggio offre tante risposte, ma il problema restano le domande”, quali domande?
Le domande cambiano durante il viaggio. Ogni momento porta con sé delle domande particolari a cui hai bisogno di rispondere.
Personalmente penso che spesso ci arrovelliamo il cervello con domande troppo complesse, quando invece dovremmo cercare di porci delle domande semplici, che presuppongono solamente un sì o un no come risposta.
In viaggio hai il tempo di ragionare sulle risposte e sulle domande, ma soprattutto quando vivi situazioni di povertà, quando viaggi con le scarpe rotte e le magliette bucate hai modo di farti domande più importanti. Inoltre ti rispondi senza filtri, senza i condizionamenti che la società ci impone.
3. Momenti duri
Qual è stato il momento più duro del viaggio?
Sicuramente sono stati i tre Natali passati lontano da casa. Lontano dalla famiglia, dai rituali collettivi, dal calore umano. Per me quei Natali trascorsi lontano sono stati il vero costo di questo viaggio.
Nel libro dici anche “ci sono momenti in cui non basta un wifi e spesso non si ha a disposizione neppure quello”, ti riferivi al Natale?
Ci sono tanti momenti difficili durante il viaggio perché cambi costantemente luogo, amicizie, quindi ho fatto l’unica cosa che potessi fare: aggrapparmi a me stesso. Ho fatto il viaggio cercando di diventare una persona migliore, ma anche accettando me stesso. La cosa importante resta comunque aprirsi alle persone, noi non siamo isole.
C’è stato anche un momento particolarmente difficile in Sud America. In ostello, Javier stupra una ragazza, e dopo essere stato in polizia decidi di andartene. Non è forse una soluzione troppo facile che il viaggio ti permette? Un po’ come scappare, una cosa che se fosse successa a Piacenza non avresti avuto questo lusso…
Sì, è una giusta considerazione. Ma, così come da Piacenza sono partito per 1000 giorni perché non trovavo in linea la vita che facevo con quello che sono io, così è stato a Buenos Aires. Lo stupro da parte di Javier è stato solamente ciò che mi ha svegliato da una situazione che già mi andava stretta, ma non l’avevo ancora realizzato.
Lì era la vita da ostello come uno se la immagina da casa, con le feste continue, alcool, donne mentre in viaggio avevo trovato l’equilibrio, soprattutto con la natura. Lì in quell’ostello mi ero perso nuovamente. Un po’ come quando viaggi in moto: se perdi l’equilibrio, cadi. Io stavo cadendo e dovevo riprendere il viaggio per rimettermi in piedi.
4. La Cina
Dato che siamo su ABCina, non posso che chiederti cosa pensi della Cina. Tra l’altro nel libro la tratti solo di sfuggita.
Eh sì, purtroppo in Cina avevo un visto turistico di 30 giorni e quindi l’ho dovuta fare un po’ di corsa. Inoltre ero all’inizio del viaggio, in cui non ero ancora entrato nel giusto ritmo e vivevo tutto velocemente, non vivevo i posti ma “collezionavo cartoline”.
Comunque, a parte l’inquinamento, della Cina ho un bellissimo ricordo. I cinesi mi sono sembrati un popolo estremamente curioso ma timidissimo. Con loro era difficile rompere il ghiaccio.
Purtroppo a causa della limitazione della lingua non potevo comunicare come avrei voluto. Quelle persone con cui sono riuscito a interagire, mi hanno dato l’impressione che i danni esistenti siano causati dalle alte sfere, mentre il cinese medio è tutt’altra cosa.
Poi diciamocelo seriamente, la Cina è troppo grande per essere visitata e capita in 30 giorni. Un mese in Cina è come andare a Londra un weekend e pensare di capire l’Inghilterra.
5. Progetti per il futuro
Adesso che questa grande avventura è finita, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ancora non lo so. Ho appena concluso un’avventura molto grande che era il mio sogno da tanti anni. Ora devo capire cosa voglio fare. Fra pochi giorni andrò in Toscana a rifare il corso di meditazione che feci in Nepal. Avrò modo di capire cosa fare poi, dove voglio andare nel lungo termine.
Con questo ci siamo salutati.
Personalmente ritengo che il libro di Claudio Pelizzeni sia un’avventura fantastica che getta una nuova luce sul suo viaggio visto non solo attraverso i video che ha fatto in mille giorni. Le sue parole scritte sono un viaggio dentro se stessi, una introspezione oltre a molti ricordi che si uniscono in una trama avvincente.
Vi consiglio la lettura di questo libro, anzi, ve la “super-consiglio”!
Articolo molto interessante, ma che glissa una questio ahimè fondamentale: come ha fatto a mantenere sé e questo viaggio?