Non pensavo di dover scrivere un articolo su questo. Ma è una di quelle domande che si pongono moltissimi italiani e a cui mi trovo a rispondere durante la maggior parte delle conversazioni sulla Cina.
Quando si parla di cinesi chiusi inevitabilmente ci si riferisce ai cinesi residenti in Italia.
La percezione di noi italiani, a volte anche corrispondente alla realtà, è di una comunità comunità diffidente ed apparentemente autosufficiente, non interessata né all’integrazione né alla semplice comunicazione.
I cinesi suscitano un senso di mistero, tanto che si diffusa persino la voce che non muoiano.
Non credo di avere la risposta definitiva a questa domanda, forse anche un po’ stupida.
Stupisce poi che proprio gli italiani non si spieghino questo fenomeno.
Gli italiani all’estero sono un esempio lampante di come una comunità possa comportarsi quando trapiantata all’estero.
Chinatown e little Italy sorgono spesso vicine nelle città americane, dovrebbe ormai esserci chiaro quali siano e perché si attivino certe dinamiche.
Parlando di un argomento del genere si finisce facilmente col generalizzare e cadere in luoghi comuni. Sarà perché effettivamente è un luogo comune, legato ad una visione datata.
Si descrive solo un aspetto di una comunità che sempre di più sta contribuendo alla vita del Paese, in maniere sempre diverse. I cinesi in Italia non sono più identificabili in una o due categorie sole, se mai lo sono stati.
Già molti italiani più intraprendenti si sono resi conto, avendo sempre più a che fare durante la vita quotidiana con cinesi di nascita o di origine, di come questo pensiero diffuso non corrisponda alla realtà, ma sia solo un modo gretto di descrivere i fatti.
La verità è che ormai in Italia la presenza cinese è molto diversificata e molti cinesi sono italiani ma sono anche cinesi, o a volte sono cinesi ma sono anche italiani, sono cinitali…, sono italocin… insomma come li vuoi chiamare.
Sta di fatto che che la loro identità include elementi di entrambe le culture, in proporzioni diverse.
Comunque esistono ancora degli aspetti che effettivamente sembrano confermare la teoria del “cinese chiuso”.
Ad alimentare questa visione contribuiscono attività commerciali e produttive di dubbia natura, studenti un po’ timidi, un orgoglio ed una identità che contraddistinguono un popolo dalla tradizione antichissima come quello cinese.
Le chinatown di Milano, Prato e Roma, hanno spesso fatto notizia per episodi negativi e attirato commenti spiacevoli.
Le cose stanno però cambiando molto velocemente e certe visioni ristrette sono destinate (spero) ad essere supportate sempre meno. Bisogna vivere bendati per non rendersene conto.
Il contatto delle nostre aziende con i cinesi sul territorio italiano è sempre più frequente.
Inoltre il crescente numero di italiani che visita la Repubblica Popolare per affari o per piacere sta contribuendo a portare molte più persone a contatto con la cultura sinica.
A parte moltissimi dettaglianti che ormai non servono più solo clientela cinese, sempre più professionisti cinesi operano sul territorio italiano in aziende multinazionali di rilevanza mondiale.
Come tanti professionisti italiani in Cina, che nonostante vivano lì da 5 o 10 anni, si limitano a saper dire “grazie” e “arrivederci” in mandarino, i professionisti cinesi sovente non imparano l’italiano, passano poco del tempo libero a contatto con i locali e sebbene apprezzino la cucina italiana, preferiscono mangiare cinese.
Anche presenza di studenti di nazionalità cinese in Italia è costantemente aumentata negli ultimi anni. Molti vengono a studiare italiano, moltissimi studiano architettura o design o altro ancora, e spesso non conoscono bene la nostra lingua.
Provengono da un sistema scolastico completamente diverso dal nostro, hanno abitudini e stili di vita diversi. Sono spesso molto attratti dal nostro Paese e dalla nostra cultura, ma una volta arrivati qui hanno difficoltà ad adattarsi.
Se hai studiato o lavorato in Cina puoi capire di cosa parlo e puoi capire anche loro. Gli studenti italiani che si recano in Cina a studiare infatti non è che siano poi così tanto più aperti verso i cinesi locali.
A Pechino o Shanghai non è raro vedere gruppi di studenti internazionali che si frequentano ed escono solo tra loro, senza quasi mai mischiarsi con la gente del posto, o studenti che dopo mesi di permanenza in Cina riescono ad abbozzare solo qualche frase di base.
Gli universitari costituiscono solo una parte degli studenti di origine cinese in Italia. Nelle nostre scuole, dalle elementari alle medie, fino ai licei, i ragazzini di origine cinese sono la norma.
Questo ha portato e porterà, in un modo o nell’altro, ad avere molte più occasioni di conoscere la cultura cinese da vicino e magari anche a sfatare questo mito di una comunità chiusa.
Insomma la comunità cinese in Italia ha una lunga storia, sono ormai decine di anni che conviviamo.
Se da una parte ci sono ancora luoghi comuni duri a morire, dall’altra abbiamo due culture che si conoscono sempre meglio e si arricchiscono a vicenda.
Sono due culture che hanno molto in comune e che in alcuni casi potrebbero semplicemente “guardarsi un attimo allo specchio” per capire meglio i difetti o le stranezze che si attribuiscono l’un l’altra.
Ho provato a mettere giù due o tre idee sulla questione, ma mi farebbe piacere sapere che ne pensi. Scrivilo commentando su Facebook o sul sito.
Salve, non concordo su vari aspetti, ho un amico proveniente e nato in Cina, con il quale spesso la sera si esce a mangiare fuori, questo per far capire che abbiamo un rapporto stretto, dal mio modesto punto di vista hanno giustamente le loro tradizioni, ma il loro gap è il totale disinteresse all’integrazione. Chiunque non sappia o non voglia scendere minimamente a fare un passo condividendo frammenti della cultura in cui vive, credo che si comporti da disadattato. Personalmente, io ho lavorato all’estero e giocoforza mi sono adattato. Loro no. Con loro si stabilisce un buon rapporto di comprensione, solo ed esclusivamente se si tratta di affari con un comune profitto