Un articolo di Jappo, già uscito a luglio 2017 su Cina in Italia. Lo riproponiamo per i nostri lettori, visto che il tema è ancora caldo, sia in Cina che in Italia.
«Stanno murando gli hutong», recita uno dei tanti messaggi letti nei gruppi WeChat di stranieri a Pechino. Foto di mucchi di mattoni rossi impilati ai lati degli hutong, le tipiche vie pechinesi del centro, seguite da altre foto coi mattoni già disposti a muro che chiudono porte o finestre delle attività commerciali che proliferano in quelle zone. Sono messaggi indignati che puntano il dito contro la poca lungimiranza del governo locale di Pechino che, non contento della continua spersonalizzazione di molte aree della città, si scaglia con forza contro i pochi posti considerati ancora vivibili e vagamente somiglianti a quella che doveva essere la “vecchia Pechino”.
In queste vie piccole ed anguste, è sorta una marea di piccole attività commerciali, da piccoli bar a veri e propri ristoranti, dai xiaomaibu, negozi che vendono un po’ di tutto, dalle bibite ai gelati e al detersivo, fino ai negozi di musica o vestiti. Nei muri dei vecchi hutong sono state aperte porte, finestre o addirittura vetrine di diversi metri quadri per attrarre più facilmente i clienti paganti. E dopo anni di noncuranza da parte del governo locale, ora arriva il giro di vite: pochi giorni di preavviso e orde di lavoratori scortati da squadriglie di poliziotti iniziano a murare tutte queste aperture per «riportare gli hutong allo stato originario».
E la comunità straniera inveisce su WeChat. Chi piange, chi impreca, chi scuote la testa sconsolato. La reazione è pressoché unanime: non è cosa gradita. Una mattina, passando in bicicletta su Sanlitun Road per andare in ufficio, vedo una scena simile ai piedi di palazzi di fine secolo scorso. Gruppi di ruspe demoliscono i bar che da anni costeggiano la parte nord della via, mentre i lavoratori preparano anche qui dei bancali di familiari mattoni rossi per chiudere quelle voragini che si sono aperte ai primi piani dei condomini. Il tutto è circondato da un cordolo di poliziotti che tiene a distanza un immaginario gruppo di curiosi. In realtà, c’è solo una vecchia coppia che porta a spasso il cane. Nonostante Sanlitun sia uno dei centri di ritrovo preferiti dagli expat che vivono nella capitale cinese, quel giorno non ho letto messaggi indignati, forse perché quei pochi bar che venivano demoliti si trovano in una zona meno frequentata dai laowai.
A metà maggio, ripassando al centro di Sanlitun la mattina alle nove, trovo i soliti agglomerati di mattoni e la polizia che mi proibisce di procedere in quella direzione. Era da qualche tempo che si diceva che la via dei bar di Sanlitun sarebbe stata demolita e, a quanto pareva, quello sarebbe stato il giorno fatidico. Non mi sbagliavo. Dopo qualche ora iniziano ad arrivare video sui vari gruppi WeChat degli italiani a Pechino. Il gruppo degli indignati solleva nuovamente le sue grida digitali e gli improperi ricominciano.
Questo processo di distruzione e ricostruzione va avanti da anni, ma non aveva mai toccato i luoghi cari a noi stranieri. Ricordo distintamente quando a inizio 2013 uscii da un ristorante e, girando per una via che non avevo mai fatto, vidi la scena agghiacciante di un intero quartiere di hutong completamente distrutto. Le carcasse di alcuni muri restavano stoicamente in piedi, alcune sparute finestre erano come occhi vuoti che rimiravano sconsolati la desolazione che li circondava. Case che forse erano sopravvissute al succedersi di dinastie imperiali, all’invasione giapponese, alla guerra civile, alla Rivoluzione culturale ed erano arrivate fino ai giorni nostri per perire sotto al peso della modernità, del progresso che vuole sostituire nuovi palazzi scintillanti, belli ma privi di anima, alla tradizione, forse povera ma viva, vera e autentica, degli hutong. Quelli, però, erano gli hutong dei cinesi, non il luogo di divertimento degli stranieri. Così noi laowai non abbiamo mai proferito parola a riguardo. Nessun messaggio indignato ha permeato l’etere e nessuna frase di sconforto è stata detta fra i tavolini di qualche bar.
Quello che più mi stupisce è la superficialità con cui i miei amici expat guardano a questo processo di demolizione e ricostruzione. Non vedono il fatto che quelle attività commerciali, quei bar, quei negozi, quei ristoranti hanno costruito opere in muratura senza chiedere i dovuti permessi alle autorità. Non vedono le azioni del governo locale come volte a rimettere in ordine e ripristinare quella che doveva essere la forma originaria e corretta di quei palazzi o hutong. Forse erano luoghi che avevano fatto propri, era il bar in cui bevevano una birra ghiacciata durante la torrida estate pechinese, il negozio in cui compravano il latte, il ristorante in cui erano soliti pranzare. La voce degli indignati si leva forte soprattutto per Sanlitun, non un hutong ma un gruppo di nuovi palazzi, luogo principe e fiore all’occhiello per la comunità expat. Ma ad essere sinceri la via era oggettivamente brutta, un’accozzaglia di costruzioni abusive che restringevano la strada, terrazze su cui mangiare a pochi centimetri dai pali da cui penzolavano fili della corrente a bassa tensione. Però era il caos e il folklore che abbiamo da sempre visto a Pechino e che ci rendeva così piacevole quella via. Se, al ritorno in Italia, avessimo visto in una qualsiasi città una situazione analoga, l’avremmo immediatamente etichettata come “degradata”.
Lo sforzo del governo locale per sanare queste zone non viene visto come un atto di legalità, ma come una violazione della tradizione. Sarà forse che, in Italia, siamo abituati ai condoni che ci permettono di ammirare mostri architettonici per l’eternità, mentre in Cina si distrugge. Purtroppo si distrugge anche senza senso o con un senso che non appartiene alla nostra mentalità occidentale. Mi trovo molto più dispiaciuto per quel vecchio hutong distrutto per lasciar spazio ad un anonimo palazzo che non per l’azione di rinnovamento di queste zone precedentemente lasciate allo sbando dell’abusivismo edilizio. Del resto, ora a Sanlitun, al posto dei bar, sono sorti piccoli giardini recintati pieni di fiori profumati. Per me, ognuno di quei fiori è un motivo in più per passare da lì.
DISTRUGGERE PER COSTRUIRE E SANARE LUOGHI INDECENTI E MALSANI E’ UNA REGOLA OBBLIGATORIA, ANCHE SE A VOLTE SCOMPARE UN PEZZO DI NOI ..MA PER LE GENERAZIONI FUTURE SARA’ UN NUOVO AVVENIRE FATTO DI NUOVI SOGNI …NON E’ MOLTO PIACEVOLE VIVERE A NAPOLI NEI QUARTIERI COSI AMMASSATI E DEGRADATI..COSI’ E’ PER LA CINA
Gli Hutong sono un patrimonio e come qualsiasi cosa, se ben tenuta e risanata, può trasformarsi in una splendida risorsa . Se dovessi ritornare in Cina andrei subito a cercarli perchè li ho trovati splendidi ed affascinanti. Spero che ne rimangano!!!