Un articolo di Abacus sui modi innovativi che gli utenti cinesi hanno trovato per far circolare un articolo censurato dalle autorità.
Su social e app cinesi sta circolando un post che potrebbe sembrare solo un’accozzaglia di emoji e caratteri cinesi strani. Non è un linguaggio segreto, ma un modo che i giovani cinesi hanno trovato per aggirare la censura online durante l’epidemia di coronavirus.
Ai Fen è la direttrice di un pronto soccorso dell’ospedale centrale di Wuhan, uno degli epicentri dell’epidemia causata dal Covid-19. La dottoressa ha rilasciato recentemente un’intervista al giornale People, nella quale si può leggere una critica al tempismo con cui è stato affrontato il problema in Cina.
L’articolo è stato pubblicato martedì 10 online attraverso la piattaforma WeChat del magazine. Nel giro di poco i censori si sono messi a lavoro, cancellando tempestivamente il contenuto non gradito, ma a quanto pare non sono stati abbastanza veloci.
Il testo e gli screenshot dell’articolo originale stanno ancora circolando sulle pagine dei social, anche se il link inserito proprio da Abacus nell’articolo dell’11 marzo è già stato rimosso. Sono riuscito a recuperare una versione in cinese qui, una in inglese qui, ma non so quanto ancora rimarranno online.
È la solita rincorsa tra utenti e censura, che ha sia vincitori che vinti: gli utenti riescono a fare in modo che il contenuto rimanga online, la censura riesce ad evitare che sia visto da un numero troppo alto di persone. È quello che descriviamo nel libro Cinese Da Strada e che continuiamo a raccontare da mesi attraverso i nostri articoli.
Dozzine di account di WeChat hanno giocato a guardie e ladri con le autorità, ripostando continuamente l’articolo in ogni formato possibile. Le soluzioni più ovvie sono gli screenshot e i pdf, ma molti si sono spinti oltre, utilizzando codice Morse, braille e persino emoji.
Alcuni utenti particolarmente furbi hanno utilizzato caratteri cinesi antichi, codici esadecimali, calligrafie riprese dallo stile del Grande Timoniere Mao. Altri hanno provato a pubblicare il contenuto al contrario, oppure a utilizzare QR code, e i fan dei libri fantasy hanno tradotto il tutto in Sindarin, la lingua inventata da J.R.R. Tolkien.
Non potevano rimanere escluse l’antica forma di scrittura oracolare sulle ossa, cara agli storici cinesi e la lingua dei Marziani, uno slang popolare online in Cina. Per rimanere in tema di “marziani” è stato pubblicato persino un video che sembra essere la classica intro di Star Wars, e che invece del solito “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…”, riporta la parte finale dell’articolo.
Sembra quasi che più che l’articolo in sé, per alcuni utenti sia più importante dimostrare la propria creatività nel “fregare” la censura, aggirarla o addirittura umiliarla.
La gestione del coronavirus da parte del governo cinese, per quanto possa sembrarci esemplare confrontata con la confusione che stiamo vendendo in occidente, non è stata risparmiata dalle critiche della popolazione. La morte dell’ormai celebre dottore Li Wenliang è stata una notizia molto dura per tutto il Paese, che non ha mancato di farsi sentire.
Il Dott. Li a Dicembre aveva diffuso su WeChat un report che parlava di un viruso simile alla Sars. Il report era stato scritto proprio dalla Dott.ssa Ai Fen, che quindi aveva un rapporto piuttosto vicino alla celebre vittima del virus. Anche lei è stata rimproverata per aver diffuso notizie senza autorizzazione, mentre Li è stato tra i medici puniti più duramente.
È sempre interessante vedere come si evolve il rapporto tra chi controlla la rete in Cina e gli utenti che la utilizzano, ma c’è anche un altro aspetto interessante di questa vicenda: il governo cinese è stato duramente criticato nelle fasi iniziali del problema per aver zittito medici e “nascosto numeri”, ma stiamo vedendo un atteggiamento approssimativo da parte di molti Paesi occidentali a riguardo, solo qualche tempo dopo. Molti leader scelgono di non tenere affatto traccia dei contagi, ognuno utilizza standard diversi per comunicare i dati, sembra quasi che la Cina non sia la sola a peccare di “opacità”.
Traduzione libera in italiano di un articolo pubblicato su abacusnews l’11 marzo 2020.